La trasformazione dell'incrociatore Giuseppe Garibaldi in unità lanciamissili ebbe luogo nell'Arsenale di La Spezia nel periodo 1957/62, sfruttando lo scafo originario costruito nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico (Trieste) negli anni 1933/1937 su un progetto - considerato tra i migliori dell'epoca per il naviglio di quella categoria - che rappresentò l'ultima evoluzione della classe Condottieri. Gli interventi principali sullo scafo, che conservò le dimensioni originarie, consistettero nella ricostruzione della poppa (che divenne del tipo a specchio) e nella chiusura delle aperture a murata per consentire l'installazione di un impianto di ventilazione/condizionamento e di un sistema di difesa NBC.
Anche l'apparato propulsivo rimase in parte quello originario, con 6 caldaie a tubi d'acqua subverticali tipo Yarrow/Regia Marina e due gruppi turboriduttori Parsons the fornivano - negli anni '50 - una potenza complessiva di 85.000 HP su due assi, per una velocità massima di 30 nodi ed un'autonomia di 4.500 miglia a 20 nodi.
Essendo rimasta inalterata la disposizione dei locali macchine ed avendo adottato un unico fumaiolo (successivamente allungato per evitare the i gas di scarico interferissero con le apparecchiature elettroniche) in luogo dei due precedenti, fu necessario modificare sia il percorso delle condotte di scarico delle caldaie, sia altre sistemazioni ausiliarie. Per far fronte alle maggiori esigenze di energia derivate dall'adozione di moderni impianti meccanici ed elettronici, fu inoltre necessario installare ex-novo quattro turboalternatori Tosi-Brown Boveri e due diesel-alternatori Fiat-Brown Boveri.
La ricostruzione delle sovrastrutture implicò la realizzazione di un ponte di castello lungo quasi 90 metri, raccordato verso poppa con una tuga estesa per 65 metri, alla cui estremità erano posizionati i quattro pozzi di lancio per missili balistici tipo Polaris. Il complesso plancia-torrione era sormontato da un albero a quadripode che sorreggeva un radar tridimensionale di sorveglianza aerea AN/SPS-39 Frescan; seguivano il grande fumaiolo e un altro albero a quadripode per il radar di scoperta aerea lontana Argos 5000 di produzione nazionale, in grado di battere, in condizioni favorevoli di propagazione, bersagli fino a 500 miglia di distanza.
La sommità della tuga missili ospitava i due radar di illuminazione e guida AN/SPG-55, cui era asservita la sottostante rampa binata Mk 9 Mod.1 montata a sua volta sul cielo del locale che ospitava il dispositivo di caricamento e il deposito dei missili Terrier. L'armamento artiglieresco era articolato su due torri prodiere binate da 135/45 mm e su otto pezzi da 76/62 mm OTO Melara «Allargato», disposti ai lati del complesso fumaiolo-torrione.
La dotazione elettronica era completata da un radar di sorveglianza aeronavale AN/SPS-6, da un radar di navigazione/sorveglianza di superficie MM/SPQ-2 e da cinque direzioni del tiro, di cui quattro associate ai pezzi da 76/62 mm e una ai calibri principali.
Dopo la ricostruzione, il Garibaldi aveva un dislocamento standard di 9.802 tonnellate che salivano a 11.335 a pieno carico, per una corrispondente immersione media di 6,7 metri. La parte più interessante del progetto riguardò l'installazione dei quattro pozzi di lancio per i missili balistici a medio raggio Polaris, ricavati nella zona poppiera precedentemente occupata da depositi e cale di varia destinazione. Il progetto delle nuove sistemazioni, curato dall'allora Capitano di Vascello Glicerio Azzoni, riguardava sia le sistemazioni strutturali per il lancio degli ordigni che la collocazione (in locali adiacenti a quelli dei pozzi) di tutti gli impianti e le apparecchiature necessarie al corretto impiego dei Polaris (strumentazioni per la navigazione, l'individuazione dei riferimenti e la determinazione dei movimenti della nave, più il complesso delle unità di calcolo). Queste sistemazioni coinvolsero una zona, compresa fra le ordinate 15 e 31 e delimitata da paratie stagne, lunga complessivamente circa 14 metri, dotata di triplo tondo e di un certo grado di protezione laterale; i locali in cui essa era suddivisa avevano un'altezza di circa 8 m - per buona parte compresi al disotto della linea di galleggiamento - ed erano delimitati superiormente da due tughe. I pozzi di lancio (lunghi circa 8 metri, con un diametro di 2 metri e con i portelloni superiori apribili per rotazione verso la mezzeria della nave) scendevano attraverso tali tughe penetrando per un breve tratto attraverso il cielo dei locali sottostanti, la cui funzione era legata alla modalità di lancio dei missili e le cui strutture vennero dimensionate per resistere sia alto shock termico che a quello meccanico.
A differenza di quanto avveniva per i Polaris installati sui sottomarini, il cui lancio era effettuato «a freddo» espellendo il missile dal silo mediante un getto di aria compressa prima dell'accensione del motore del primo stadio, i missili del Garibaldi avrebbero infatti dovuto essere lanciati «a caldo», utilizzando cioè una carica esplosiva, e necessitavano quindi di uno spazio entro cui sfogare gli effetti dell'esplosione. La realizzazione di tali sistemazioni richiese circa 6 mesi e una spesa comparabile a quella per l'acquisto di un singolo pezzo da 76/62 mm. Le prove di collaudo dei pozzi iniziarono nell'ottobre 1961, mentre nel periodo dicembre 1961/gennaio 1962 vennero effettuati lanci di collaudo con simulacri inerti, sia a nave ferma che in navigazione, per poi proseguire sino all'agosto del 1962 con lanci di simulacri autopropulsi.
Motivazioni di natura politica impedirono però la prevista acquisizione dei Polaris, cosicché il Garibaldi prosegui la propria esistenza come unità sede comando della Squadra Navale, partecipando ad attività addestrative di vario tipo in Mediterraneo e oltreoceano e rimanendo comunque, in virtù della presenza del sistema Terrier, il primo incrociatore lanciamissili ad essere entrato in servizio in una marina europea. L'unità fu posta in disarmo nel gennaio del 1971, al termine di 33 anni di servizio.
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